L’argomento centrale di questo
libro è il rapporto dell’uomo occidentale con l’alterità, studiato attraverso
quella che Todorov considera una storia
esemplare, ossia una storia vera qual è la Conquista spagnola dell’America,
rivista e interpretata alla luce del suo significato più profondo, che è sempre
un significato etico. L’intento dell’autore è, infatti, che si ricordi “quel
che può accadere se non si riesce a scoprire l’altro. Perché l’altro deve essere scoperto”.
Si faccia caso alla dedica che l’autore ha inserito a
coronamento di questa sua fatica, di cui bisogna veramente essergli grati.
Todorov scrive: “Dedico questo libro
alla memoria di una donna maya divorata dai cani”, facendo riferimento ad un
episodio minimo, per quanto atroce, di quelli che restano sommersi e
schiacciati sotto le macerie della Storia nel suo inarrestabile avanzare e che
soltanto uno studioso poteva resuscitare dal resoconto di un cronista della
Conquista spagnola. Il riferimento a questa violenza disumana, che in nessun altro
modo poteva essere risarcita se non ricordandola e intendendone il significato
profondo, illumina quest’opera nel suo complesso e ne fornisce la chiave
interpretativa, ricollegando in modo esplicito la riflessione di Todorov ad una
genealogia e ad una bibliografia illustre che possiamo racchiudere sotto
l’etichetta di “critica della Modernità”: quella donna maya, infatti, non è
diversa dalle vittime innocenti che tormentavano la mente di Dostojevskij e
rendevano problematico il suo Cristianesimo o dalle innumerevoli vite spezzate
cui Solzenicyn, caparbio cronista dell’orrore comunista, ridà volto e nome o,
ancora, dalla disumanizzante macchina dello sterminio cui Primo Levi
contrappone la lucidità spietata della sua analisi.
Come questi autori e molti altri
hanno saputo mostrare con il loro esempio, fondamentale è non lasciarsi
annichilire da questa sofferenza immane, non razionalizzabile - che pare
rovesciarsi come una poderosa valanga lungo il pendio della Storia, travolgendo
ogni possibilità di comprensione - e, assumendo consapevolmente il ruolo di
testimoni del Male nella Storia, affrontare ciò che si deve assolutamente
contrastare con gli strumenti che la ragione ci offre. Nel caso della storia
della Conquista dell’America, il Male che ha prodotto un vero e proprio
genocidio di cui non esistono paragoni si chiarisce – fuoriesce dall’ottusità
di cui il Male si ammanta - affrontando il nodo antropologico della relazione
con l’Altro. Il libro si articola infatti in quattro parti - rispettivamente
intitolate Scoprire, Conquistare, Amare e Conoscere – , di
cui le prime due sono quelle storicamente più rilevanti (tanto che i termini
“scoperta” e “conquista” dell’America in apparenza racchiudono in sé il pieno
significato di queste vicende), mentre le altre due mostrano la strada che
soltanto alcuni hanno saputo e voluto percorrere.
La grandezza di Todorov e il
valore eccelso di questo saggio risiedono nella capacità dell’autore di non
limitarsi ad un’incolore esposizione di fatti e di non lasciarsi irretire dal
Male attraverso la fascinazione che esso esercita su chiunque vi posi lo
sguardo. Todorov, infatti, non si perde nella morbosa elencazione degli orrori
compiuti dagli spagnoli del Cinquecento e nella descrizione di un Male che
alcuni vorrebbero assoluto e quindi tanto meno conoscibile quanto più lo si
ingigantisce, alla stregua di un esteta che, innamorato di un’opera d’arte, sia
affascinato da ogni più piccolo dettaglio, tanto da vedervi un frammento
dell’Assoluto dentro al quale sarebbe disposto a perdersi per l’eternità.
Niente di tutto questo in Todorov. Come scrive a conclusione del suo lavoro:
“E’ piuttosto superficiale accontentarsi di condannare i cattivi conquistadores
e compiangere i buoni indiani […] Riconoscere, per alcuni aspetti, la superiorità
dei conquistadores non significa farne l’elogio; è necessario analizzare le
armi della conquista se si vuole che essa un giorno abbia fine”.
I personaggi chiave dell’epoca li
ritroviamo quindi in tutta la loro complessità, con le loro idiosincrasie esposte
in piena luce – Cristoforo Colombo sul crinale di una Modernità cui proprio lui
apre le porte, con la sua mentalità di uomo del Medioevo guidato da una fede
incrollabile e da un dialogo continuo con il suo Dio e una passione altrettanto
indomita di esplorazione di questo nostro mondo e di conoscenza (e ammirazione)
della Natura, che lo avvicina invece alle generazioni successive di
esploratori; Cortés, condottiero lucidissimo - come ci aspetteremmo da un
comandante di secoli più vicini a noi (o ancora più lontani) – che dimostra di
aver recepito perfettamente la lezione di Machiavelli, portatore di una
moralità nuova, già pienamente moderna, desideroso non di conoscere gli
indiani, ma di comprenderli per poterli sconfiggere più facilmente, con le armi
dell’astuzia –simulazione e dissimulazione - più che con la forza delle armi;
Moctezuma, guida suprema di un popolo che, avendo una concezione ciclica del
tempo, cerca ossessivamente nel passato i segni per comprendere il presente e
dare un senso ad un evento unico come l’arrivo degli Spagnoli, condannandosi
alla sconfitta; e poi uomini come Bartolomé de Las Casas e Bernardino de
Sahagun che, con approcci diversi, hanno saputo avvicinarsi agli indiani e
scoprire in loro una comune appartenenza all’umanità.
Ma dal confronto/scontro con
un’alterità tanto radicale emerge anche l’identità profonda della nostra
civiltà, schematizzata in dualismi che l’autore spiega con rara efficacia
espositiva, ad esempio le contrapposizioni civiltà narrative/ civiltà interpretative,
civiltà del massacro/civiltà del sacrificio, civiltà allocentrica/civiltà
egocentrica. Todorov ci ricorda così che “si impara a conoscere l’altro
attraverso noi stessi, ma anche a conoscere noi stessi per mezzo dell’altro”.
In conclusione, credo non siano
molti i saggi storici che possano vantare una tale densità di contenuti unita ad una chiarezza espositiva tanto
efficace. E’ un testo imprescindibile per comprendere la modernità di cui ancor
oggi siamo parte (per quanto si voglia distinguere la nostra contemporaneità
dicendo di noi stessi che siamo post-moderni)
e soprattutto le contraddizioni insolute che ci trasciniamo con crescente
fatica lungo il nostro cammino. E’ una dimostrazione lampante di come lo
sguardo obliquo del genio possa offrire una nuova prospettiva su eventi
cruciali del nostro passato, di cui mille e mille volte si è scritto e parlato
senza mai comprenderne l’essenza.